Con la pronuncia 16099 2025 la Corte di Cassazione ha affermato la possibilità di sostituire una pena detentiva o pecuniaria con i lavori di pubblica utilità, anche in assenza di un progetto dettagliato.
Il caso oggetto della sentenza riguardava un automobilista condannato per guida in stato di ebbrezza, con tasso alcolemico superiore alla soglia più elevata prevista dall’art. 186, comma 2, lett. c), del Codice della strada.
La Corte di Appello di Cagliari aveva confermato la pena inflitta dal Tribunale di Oristano – tre mesi e quindici giorni di arresto e 1.200 euro di ammenda – senza accogliere la richiesta dell’imputato di sostituire la sanzione con i lavori socialmente utili.
Nel suo ricorso in Cassazione, il condannato ha sostenuto che la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare più attentamente la possibilità di applicare una sanzione sostitutiva, come previsto dall’art. 186, comma 9-bis, del Codice della strada, anche se priva di un progetto di attività lavorativa e presentata in secondo grado.
La decisione della Cassazione: non serve un progetto per richiedere LSU alternativi
La Quarta Sezione Penale della Cassazione, con la sentenza n. 16099 del 29 aprile 2025, ha accolto parzialmente il ricorso, annullando la decisione d’appello nella parte in cui aveva rigettato la richiesta di sostituzione della pena. La Suprema Corte ha chiarito un principio importante: per accedere ai lavori di pubblica utilità non è necessario che l’imputato alleghi un programma specifico, né che la richiesta sia formalizzata in primo grado. È sufficiente che il soggetto manifesti la propria volontà o, quantomeno, non si opponga alla sostituzione della pena.
Secondo i giudici, la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare la richiesta sulla base delle condizioni previste dalla legge, piuttosto che respingerla per presunti vizi di forma. Non essendo previsto che l’imputato indichi già l’ente presso cui intende prestare servizio né le modalità operative, è compito del giudice, in caso di accoglimento, attivare il procedimento necessario a individuare tali dettagli. La Cassazione ha anche ricordato che la richiesta può essere avanzata anche nel corso del giudizio di appello, senza limitazioni temporali rigide, e che la valutazione della sussistenza dei presupposti per la sostituzione deve essere compiuta nel merito.
A sostegno della propria posizione, la Corte ha citato precedenti conformi (tra cui le sentenze nn. 31226/2015, 53327/2016 e 36779/2020), ribadendo che il beneficio non può essere negato solo per l’assenza di un progetto formale. È quindi errato affermare, come aveva fatto la Corte territoriale, che la mancanza di dettagli nella richiesta sia motivo sufficiente per respingerla.
Le conseguenze pratiche della pronuncia di cassazione sui lavori socialmente utili
Questa pronuncia ha implicazioni significative sul piano pratico.
- Innanzitutto, consente agli imputati – anche in fase di appello – di ottenere una pena meno afflittiva e potenzialmente rieducativa, senza essere penalizzati da formalismi processuali. I lavori di pubblica utilità, infatti, rappresentano una misura che mira al reinserimento sociale del condannato, evitando l’ingresso nel circuito penitenziario o l’esborso economico, e al contempo offrendo un beneficio per la collettività.
- In secondo luogo, la sentenza favorisce un’interpretazione orientata alla sostanza, in linea con i principi costituzionali di rieducazione della pena e proporzionalità della sanzione. La Cassazione ha voluto ricordare che il giudice non può trincerarsi dietro valutazioni meramente formali per rifiutare un beneficio previsto dalla legge. È suo compito valutare concretamente la possibilità di applicare una misura sostitutiva, anche quando l’imputato non presenti una proposta dettagliata.
- Infine, la decisione costituisce un punto di riferimento per tutti i procedimenti penali aventi ad oggetto reati stradali, in particolare quelli connessi alla guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. La norma di riferimento – l’art. 186, comma 9-bis, del Codice della strada – prevede infatti la possibilità di sostituire le pene con il lavoro di pubblica utilità, anche d’ufficio, purché l’imputato non vi si opponga. La pronuncia della Cassazione chiarisce che tale possibilità deve essere effettiva e non meramente teorica, e che l’onere di definire i dettagli organizzativi non può ricadere sul cittadino, ma spetta all’autorità giudiziaria.