La recente sentenza n. 11586/2025 della Cassazione ribadisce alcuni principi cardine nel contenzioso del lavoro in materia di demansionamento del dipendente.
In sintesi la Suprema Corte afferma che il diritto a un inquadramento superiore e alle relative differenze retributive deve basarsi su un accertamento rigoroso delle mansioni effettivamente svolte. e che l’attribuzione delle relative indennità contrattuali non dovrebbe avvenire in via automatica, ma richiede la prova dei presupposti specifici.
Il demansionamento quindi non determina automaticamente un diritto al risarcimento: occorre la prova concreta del pregiudizio subito.
Inoltre viene chiarito che anche le dimissioni per giusta causa devono essere giustificate da una condotta datoriale.
Vediamo meglio i dettagli del caso e le motivazioni della sentenza.
Il caso: differenze retributive e contestazioni tra datore e lavoratrice
La vicenda trae origine dal rapporto di lavoro intercorso tra una lavoratrice e l’impresa edile Violi Srl, presso cui la dipendente aveva svolto mansioni nell’ambito del restauro di beni culturali. In particolare, la lavoratrice rivendicava il riconoscimento di un livello di inquadramento superiore rispetto a quello formalmente attribuito, lamentando anche un successivo demansionamento.
La Corte d’Appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, aveva condannato l’azienda al pagamento di:
- € 38.041,40 per differenze retributive, derivanti dal mancato riconoscimento del livello VI del CCNL Edilizia;
- € 7.487,32 come risarcimento del danno da demansionamento, avvenuto nel periodo tra il 7 novembre 2014 e le dimissioni per giusta causa del 23 gennaio 2015.
Il datore di lavoro aveva proposto ricorso in Cassazione, articolando ben nove motivi di doglianza, che spaziavano dall’errata valutazione dei fatti alla violazione di specifici articoli del Codice civile e del contratto collettivo.
La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso del datore di lavoro, ribadendo alcuni principi fondamentali in materia di lavoro subordinato, inquadramento contrattuale e danno da demansionamento.
– 1. Sull’inquadramento superiore e le differenze retributive
Con riferimento al riconoscimento del livello VI del CCNL Edilizia – che prevede mansioni di responsabilità, come la direzione tecnica di cantiere – la Cassazione ha confermato l’impostazione seguita dalla Corte d’Appello: è legittimo attribuire l’inquadramento superiore se, come accaduto nel caso di specie, le mansioni effettivamente svolte dalla lavoratrice corrispondono a quelle previste dal livello rivendicato.
La Corte ha richiamato il c.d. criterio “trifasico” consolidato nella giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 30580/2019, Cass. n. 21329/2017), secondo il quale:
occorre accertare in fatto le attività concretamente svolte dal lavoratore;
individuare la qualifica prevista dal contratto collettivo;
verificare la corrispondenza tra mansioni svolte e quelle della qualifica rivendicata.
In questo quadro, è stata confermata la spettanza delle differenze retributive. Tuttavia, la Corte ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso del datore, osservando che la Corte d’Appello aveva omesso di considerare che una parte del credito era ancora sub iudice e oggetto di appello,
– 2. Sull’indennità speciale ex art. 47 CCNL
La Cassazione ha accolto le censure relative all’indennità speciale prevista dall’art. 47 del CCNL Edilizia. Tale indennità, pari al 25% della retribuzione base, è destinata esclusivamente ai lavoratori in posizione direttiva, esonerati dal rispetto dell’orario di lavoro e con responsabilità nella direzione tecnica o amministrativa.
Secondo la Corte, l’attribuzione automatica dell’indennità solo sulla base dell’inquadramento nel livello VI è errata: è necessario che la lavoratrice alleghi e dimostri i requisiti specifici richiesti dalla norma contrattuale. Non essendo stati forniti tali elementi probatori, la Corte ha ritenuto fondata l’esclusione dell’indennità.
Demansionamento, risarcimento e dimissioni per giusta causa
Un altro punto centrale riguardava il demansionamento subito dalla lavoratrice dopo la revoca dell’incarico di capo cantiere.
La Corte d’Appello aveva riconosciuto un risarcimento quantificato in via equitativa, pari alla metà della retribuzione per i circa due mesi di dequalificazione.
La Cassazione, pur riconoscendo che il demansionamento può generare danni patrimoniali e non patrimoniali (Cass. SS.UU. n. 6572/2006, Cass. n. 12253/2015), ha precisato che:
- non basta il solo inadempimento del datore per fondare il diritto al risarcimento;
- occorre che il giudice indichi le circostanze concrete che dimostrano il danno effettivamente subito, come la perdita di chance, la lesione della professionalità o altri elementi rilevanti.
Nel caso specifico, la motivazione della Corte d’Appello era risultata generica, priva di riferimento a dati concreti, e si era limitata a quantificare il danno in modo automatico. Pertanto, la Suprema Corte ha cassato tale parte della sentenza, ordinando un nuovo esame.
Infine, la Corte ha accolto anche il motivo relativo al riconoscimento dell’indennità di mancato preavviso in caso di dimissioni per giusta causa (art. 2119 c.c.). È stato evidenziato che il giudice del merito non aveva motivato in modo adeguato la sussistenza di una giusta causa, cioè non aveva chiarito perché il demansionamento fosse tale da giustificare la cessazione immediata del rapporto.
Riferimenti normativi principali
Su questo tema di riferimenti normativi da tenere presenti sono:
- Art. 2103 c.c. (mansioni del lavoratore)
- Art. 2119 c.c. (dimissioni per giusta causa)
- Art. 2729 c.c. (presunzioni semplici)
- Art. 2697 c.c. (onere della prova)
- Art. 47 CCNL Edilizia Piccola Industria
- R.D. n. 1955/1923, art. 3, comma 2.